Stato di Allerta

Apro il meteo sul mio smartphone, mi viene da chiedermi “definiamo smart..”, e trovo questo: ALLERTA pioggia moderata. Non è la prima volta, ogni giorno il meteo mi propone un po’ di angoscia… ogni giorno. Ogni giorno stato di allerta. Allerta pioggia moderata è un controsenso, è una presa in giro, è cattiveria.

Allerta luna piena.

Allerta brezza sottile.

Allerta sole tiepido.

Allerta nuvole bianche soffici.

Davvero? Davvero la pioggia moderata mi deve comunicare uno stato di apprensione? Si.

La risposta è si. Forse sta qui lo Smart, l’Intelligenza voluta, il dolo, l’ansia preterintenzionale. Dobbiamo vivere ogni giorno in un perenne stato di allerta, di ansia più o meno sottile, di paura. Il sentimento della paura è adesso al massimo del suo potenziale sociale. E’ pane quotidiano che ci viene servito colazione, pranzo e cena. Non è più il tempo della crisi finanziaria 2008, delle primavere arabe, dell’Isis. Non c’è più qualcosa che fa notizia. Dal famoso COVID 19, ringrazio per il 19 che mi ricorda più o meno l’inizio del declino… febbraio 2020 per noi Italianucci… da quel panico lì non c’è mai più stato un giorno di respiro, di tregua. Non bastava il covid a mandarci in terapia intensiva, io vorrei ossigeno dalle allerte, è la paura ad attanagliarci i polmoni, a farci mancare l’aria.

Non so se i tempi sono maturi per ironizzare ma una delle cose più divertenti che ho letto è stato un meme che proponeva il Nobel per la medicina a Putin per aver sconfitto il famoso covidde. A parte gli scherzi, è andata così, senza combinazione di causa, senza passare dal via, anni di panico e isolamento e delirio collettivo e famiglie distrutte, alienate, in lutto, perdite emotivamente irrecuperabili, cose per cui dovremmo stare a riflettere e elaborare a lungo ma no, non possiamo, non si può manco parlarne più, c’è la guerra, la guerra in Ucraina, è grave, ci invaderà la Russia, non abbiamo i soldi per pagare le bollette, il carrello della spesa costa più di un sacchetto di diamanti o oro puro, la benzina ci uccide (non il petrolio bada bene, il costo del barile) ogni cosa va male, malissimo e uno pensa che non potrebbe andare peggio ma c’è un attentato terroristico di Hamas e si, il peggio ancora non l’avevamo visto, esiste, è qua, dai nostri dirimpettai di mediterraneo, il peggio vero, la tragedia. Ma noi siamo nella tragedia costante da quattro anni ed è una difesa del cervello completamente umana di abituarsi a tutto, non possiamo più discernere la gravità di qualcosa se è costante. Nessuno può reggere uno stato di emergenza per più di un mese, figuriamoci come stiamo dopo quattro anni ininterrotti di paura e panico.

E lì sta il dolo, la cosa subdola, l’allerta costante non mi permette di pensare. Ed evidentemente è molto meglio se non pensiamo, se arriviamo al punto di non provare più nulla direttamente.

Insegno ginnastica posturale e quando si lavora col corpo l’importanza del riposo è fondamentale. Fatto un esercizio, parte attiva, ci vuole il tempo di fermarsi e dare al corpo la possibilità, il tempo di elaborare il lavoro fatto, di poter imparare qualcosa, e va fatto da fermi, parte passiva.

Non lo dico io, lo dice una cosa chiamata sistema nervoso, lo dice la meccanica, lo dice il nostro funzionamento. Abbiamo il bisogno fisiologico di quiete per poter elaborare i dati, per processare informazioni, per prendere decisioni, per far si che affiorino idee e progetti. Adesso perfino la natura è in tilt e salta il tempo della semina, il tempo dove la terra non produce nulla, bisogna poter aspettare che il tempo dia i suoi frutti, il momento del raccolto. Aspettare, Silenzio, Noia. Parole che vorrei insegnare ai bambini, parole che andrebbero tutelate, parole di cui dobbiamo riappropriarci prima che diventino qualcosa di cui non abbiamo più idea del significato, che dobbiamo cercare in internet (non so se qualcuno usa ancora il Devoto Oli cartaceo) per leggere a cosa si riferivano.

Se sono perennemente in uno stato di emergenza il mio cervello va in tilt peggio della mimosa che non sa più quando fiorire, non ho il tempo di capire cosa sta succedendo, reagisco e basta. Reagire è cosa molto diversa dall’Agire. Reagire a uno stimolo costante è un automatismo, una difesa, un attacco, un impulso. Agire significa avere la libertà di scegliere cosa voglio e cosa posso fare. Agire significa aver preso l’iniziativa e non possiamo illuderci che nell’allerta continua io possa agire. Vi ricordate i nonni che ti dicevano “dormici su”, “in queste condizioni non puoi prendere una decisione perché sei troppo agitata?”. Il rischio di prendere decisioni sbagliate nella reazione è altissimo, Netanyahu ne sa qualcosa, e noi siamo agitati, siamo sempre più agitati, basta osservare un marciapiede, guidare per dieci minuti nel traffico, entrare in un bar per rendersi conto che non stiamo bene. Ci dividiamo nell’iper ansia da “se mi fermo sono perduto” all’estremo opposto: mi spengo definitivamente e non capisco più niente. Sarà un caso che adesso ci sono più negozi che vendono CBD di quante sono le gelaterie? Sappiamo che sei agitato, lo sappiamo perché quella agitazione l’abbiamo creata noi, e ti diamo il contentino per rilassarti.

Detto fra noi Dio benedica la CBD piuttosto che le benzodiazepine o le slot machine. E opinione mia, meglio dieci canne in più che la produttività h24 per cui per stare sul pezzo devo “sniffarmi un pezzo”.

Ma se ci ribellassimo a questa paura costante? A Firenze ci sono degli schermi del comune dove sempre più spesso c’è scritto: “Attenzione! Pericolo caduta rami e tegole dal cielo.”

Potrebbero direttamente scriverci: “Ricordati che devi morire”. E magati lo facessero, magari lo facessimo!!! Perché forse se riprendiamo per mano l’ipotesi che moriremo avremmo molta più voglia di vivere meglio di così, di goderci la vita e amare e ridere e danzare. Se facessimo pace con l’idea che <Oh, alla peggio muoio> andrei a trovare i miei cari in ospedale e non avrei paura di un abbraccio, camminerei per strada fiera e giocosa e riderei in faccia alla paura di invecchiare, all’acido ialuronico, a tutto ciò che è creato a tavolino per crearci questo panico costante e, una volta ripulito il mio sistema dall’allerta pioggia moderata, potrei trovare lo spazio dentro di me di sentire di nuovo cosa sia l’allerta vera. Che sia cosa sta succedendo con l’Oms, che sia realizzare davvero cosa significhi una guerra sia essa in Somalia o dentro le mura di casa mia.

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Jeppe

Di te ricorderò il suono della tua voce, prima di tutto, quel timbro inconfondibile, il tuo nasale che non smetterò mai di imitare e rifare. Le tue frasi epiche. Ricordo i tuoi lineamenti fini, le tue labbra disegnate, il tuo splendido naso. Come sei bello Jeppe,com’eri bello, come sarai sempre bello nei miei pensieri.

La tua classe diabolica, quell’eleganza a prescindere da ogni situazione, da ogni disagio, da ogni abito o sporco sotto le unghie. Una finezza, una classe e un eleganza disarmanti.

Ricordo ogni istante: l’eta della formazione e pensa, a me, è toccato mi formassi te.

Jeppe Provocatore allo spasmo, la sensibilità piu perfida che abbia mai accarezzato. Un osservatore, un ascoltatore, ascoltavi talmente bene che riuscivi a andare in comunicazione con Giove. I giretti su serena, la sfilza di multe ben disposte sul parabrezza perché convinto che fossero il tuo permesso per entrare in centro. Il panuozzo, la musica Jeppe, ti devo tanta musica, sale prove, sound check, concertini su concertini su concertini. Attese, caricare e scaricare strumenti, locali i, palchi, le piume brasiliane, riempire borderaux. Quanto ritmo mi hai dato. Quanto delirio. La tua schiettezza feroce. Il surreale totale. Il modo tutto tuo di pronunciare e storpiare i nomi. La tua seria ironia. Ricordo il tuo dolore, la parte piu nera di te, il tuo sorriso sadico e dolcissimo.

Jeppe. ricordo quando volevo prendere lezioni di canto e tu serafico mi hai consigliato di rispiarmiare i soldi. Il mondo grazie a te ha una cantante in meno. Tu eri cosi, scoperchiavi i vasi di pandora, bruciavi i sipari, nessuna ipocrisia. Quante poesie. Quel nano verde, quella spiaggia, il rummettino, gli infiniti viaggi assieme e quelli tutti tuoi di fronte a me che restavo ferma a osservare.

Questo novembre abbiamo visto assieme lo speciale di Rezza sulla psichiatria dove quel ragazzo diceva “non mi raggiungo”.

Penso che tu ti sia raggiunto Jeppe.

Adesso ti sei raggiunto, starai facendo uno dei tuoi viaggetti e all’arrivo Barnaba ti verrà incontro, avrai una sfilza di barrettini davanti a te e quando avrai voglia prenderai un tavolo per berti una tennens con Nelson.

Farai festini con nuovi amici e amantucce.

Jeppe amoroso, Jeppe furibondo, Jeppe affettuoso, Jeppe che girava in loop come il suo anello tibetano. Jeppe alla batteria, alle percussioni, con le bacchette lanciate per aria.

Jeppe che tiene le persiane sempre chiuse, lui che le persiane le rivende in Olanda, che si fissa che viale Galileo ha bisogno delle capre a tener pulito il prato.

Jeppe che non vuoi piu cani perche hai paura di non prendertene cura e che da anni e anni accudivi i tuoi cechini.

Poveri cechini, quanto gli mancherai. Poveri noi Jeppe, quanto ci mancherai.

Tu sei a posto, io lo so. Tu ti sei ritrovato.

Dovunque tu sia sono vent’anni che quando “sono in buona” ti cito.

Jeppe spero di continuare a farti vivere e gesticolare rifacendo come muovevi le braccia e le manI. Piccolo bradipo.

Ci sono persone che quando ti entrano dentro lo fanno per davvero, le inglobi, si mischiano a te.

Adesso non ci resta che fare un lungo pianto dell balena e augurarti tutto il bene che sempre ti vorrò. 

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Terra Empia.

Lo so, non serve a niente, ma sono giorni che piango per quello che sta succedendo in Terra Santa. Prego anche moltissimo e questo, per chi ha fede, forse è un po’ più utile.

Purtroppo mi rendo conto che dopo giorni e giorni di profonda tristezza oggi prevale una rabbia atroce. Sono incazzata nera con la narrazione occidentale, sono incazzata nera con il fanatismo, la retorica, i soliti schieramenti. A Firenze domani ci sarà una manifestazione per la Palestina, ci vuole moltissimo a trovarla se provate su google a fare la ricerca perché, ovviamente, esce fuori prima e mille volte quella a favore di Israele che ci sarà domenica.

Ma farne una sola per la pace no?

No. Perché l’immagine del bambino a cui viene detto “ebreo” che è stato rapito ha fatto il giro del mondo, e la notizia dei bambini decapitati a Gaza viene detta fra il bilancio dello Stato e lo scandalo del Calcio. Non ne posso più che se provi a ragionare vieni schedato come antisemita o pro Hamas. Sono anni in cui dobbiamo iniziare ogni frase con Putin è l’invasore e l’Ucraina il popolo invaso… possiamo pensare un attimo alle invasioni che subiscono ogni giorno i palestinesi da anni? Ai trattati che non sono stati rispettati dove lo stato di Israele doveva smettere di espandersi e ai palestinesi che si vedono buttare giù le case con le ruspe per far spazio a nuovi ebrei che vanno a vivere nella “loro” terra promessa.  The Human Rights Watch ha definito Apartheid quello che sta succedendo al popolo palestinese. Possiamo pensare a cosa significa nascere nella striscia di Gaza? Possiamo fermarci a pensare senza per questo essere antisemiti, pro Hamas, o giustificare in alcun modo un attentato terroristico spaventoso?

Potevo esserci io a quel Rave, potevo davvero esserci io, sarei potuta essere stata rapita in questo momento e mia mamma intervistata al tg1 ma non per questo avrei cambiato una virgola di quello che penso e l’affetto immenso che provo per la popolazione palestinese che è fra le più globalmente abbandonate e bistrattate. Anche perché i palestinesi non sono Hamas, come i musulmani non sono l’ISIS. Non potrò mai dimenticare nel 2009 quando andai in Israele e Palestina e vidi coi miei occhi il muro che circonda Betlemme. Il muro di Berlino era alto 4,2 metri, questo è il doppio, 8 metri di puro, grigio, cemento ma noi ogni anno continuiamo a festeggiare il crollo del primo senza soffermarci a osservare quanti muri sono stati alzati nel mondo dal 1989 a oggi…

“Alla caduta del Berliner Mauer si contavano nel mondo 15 barriere fisiche nel mondo, poco più di una decina in più rispetto a quante ne esistevano alla fine della Seconda guerra mondiale: oggi queste sono 70, con altre 7 già finanziate e in via di completamento.” Articolo del 2019. (https://www.fanpage.it/attualita/tutti-i-muri-nel-mondo-30-anni-dopo-berlino/
https://www.fanpage.it/)

E Gerico. Gerico è un paese di 18.000 palestinesi circondati da una rete. Ho visto personalmente le manine di un bambino aggrappate a quella rete venire prese a calci dall’anfibio di un militare israeliano. Non dimenticherò mai il dolore di quel momento e la rabbia, la rabbia che non è mai giustificazione ma confesso di aver pensato che se quel bambino un domani si faceva esplodere in un autobus sarebbe stato un criminale, un assassino, sarebbe andato all’Inferno e non lo perdonerei mai. Ma l’avrei compreso. Che non significa giustificare o perdonare ripeto, ma capire da dove arriva, capire le cause ed è questo che mi fa più male che io sono certa che tutto questo si poteva evitare. Mi sconforta lo stupore dell’Occidente rispetto a certi atti criminali. Mi sconforta come rimaniamo allibiti di fronte alla rabbia altrui. Noi siamo i buoni e i buoni possono commettere azioni cattive. Per cui se Israele adesso ammazza civili è “giustificata” dall’attentato terroristico che ha commesso Hamas. Ma se quel famoso bambino palestinese ha visto sterminare la sua famiglia, è nato dentro una rete da pollaio dove le sue manine piccole venivano prese a calci e dove non aveva alcuna, davvero alcuna, alternativa o possibilità nella vita se non stare confinato dentro quella rete e impazzisce e si fa saltare in aria è solo un criminale e non ha alcuna giustificazione. Mai.

In Israele, oltre 1200 persone – per lo più civili, bambini compresi – sono stati uccise e 2400 sono rimaste ferite negli attacchi iniziati nelle prime ore del 7 ottobre. A Gaza almeno 1200 persone, bambini compresi, sono state uccise dalla rappresaglia militare israeliana. Il rafforzamento del blocco della Striscia di Gaza, con la completa cessazione delle forniture di acqua, elettricità, cibo e carburante, sta rendendo ancora più grave la già catastrofica crisi umanitaria. Il blocco israeliano di Gaza equivale a una punizione collettiva che è anche un crimine di guerra.” https://www.amnesty.it/i-gruppi-armati-palestinesi-devono-essere-chiamati-a-rispondere-dei-crimini-contro-i-civili-israeliani/

Potrei andare avanti per ore a scrivere ma mi fermo perché ho troppo dolore dentro e col dolore e con la rabbia è meglio tacere, meditare e pregare silenziosamente nel cuore. Dico solo che pochi mesi fa ero a cena con due ragazze, una Israeliana e una Palestinese che studiano entrambe a Firenze e che sono molto amiche e che la maggior parte delle persone vogliono la pace e vanno d’accordo, che siamo anche noi a fomentare continuamente per interessi economici e politici le guerre, i conflitti (vedi cosa facciamo in Africa da sempre) perché purtroppo il dividi et impera è molto efficace e non passa mai di moda. Ma voglio avere fiducia nelle persone, i più grandi critici di cosa combina lo stato di Israele sono proprio persone ebree (vedi Amos Oz, Moni Ovadia e mille altri uomini e donne). Io sono piena di amici ebrei, ho anche i cugini e una carissima zia ebrea, non ho nulla contro gli ebrei e rivendico a cuor leggere di poter manifestare una sconfinata rabbia per i due pesi e due misure che continuamente adoperiamo nel mondo. Mondo che non fa altro che parlare di terre e confini quando in una società globalizzata come la nostra dovremmo unirci tutti assieme e parlare solo esclusivamente di ambiente, di povertà, di diritti, di come fare a sopravvivere e riuscire a respirare e mangiare tutti. Perché un modo c’è ed è la collaborazione, l’unione, l’accettazione delle differenze e delle risorse di ognuno.

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Così No.

“Sono avvilita dalla maleducazione che ci circonda”
“Come sei snob…” nota questo mio amico, argomentando che dare del maleducato ti pone in un atteggiamento di superiorità ed è anche una questione culturale: se faccio un rutto in Cina sono la regina del bon ton, se mi soffio il naso divento Er Monnezza.
Puntualizzo che per me la maleducazione, al pari dell’eleganza, non ha niente a che vedere con i soldi che uno ha in banca, il ruolo di potere o i Phd, anzi, spesso trovo più classe in fila per il lampredotto che dentro un ristorante stellato. Comunque ci ho riflettuto e ho avuto la mia epifania : Sono avvilita dall’Indifferenza. Da questa diffusa indifferenza narcisistica dovuta alla malsana idea di essere soli al mondo. Pessima notizia gente: abbiamo raggiunto gli otto miliardi di persone!
E ahimè più aumentiamo più  ci isoliamo in questo ego autoreferenziale. Non ti vedo, non esisti o meglio: se mi accorgo che ci sei mi dai pure fastidio.
Basta guardare il traffico per rendersene conto. Esiste il codice della strada perché esiste più di un’automobilista: metto la freccia così avviso gli altri conducenti delle mie intenzioni, mi guardo attorno se esco da un parcheggio, cose così.. . Adesso invece lascio la macchina in quarta fila possibilmente su una ciclabile perché mi va un cappuccino, apro lo  sportello  mentre passa il motorino (sto stronzo ora doveva passare?)  e  suono irritato se stai attraversando le strisce zoppicando perché tu avrai pure una protesi all’anca ma io ho un sushi apero che mi aspetta.  L’apice è quando sorpasso quel paio di auto stupidamente ferme e stermino il tipo a terra che aveva avuto un incidente (così smette di soffrire,dovrebbero ringraziarmi). Lo faccio perché sono più furbo, ho più fretta e sono nel giusto.
Ecco il dogma moderno: Mi andava, lo pretendo, Tu subisci.
L’estate scorsa al mare accanto a me è arrivato un gruppo di bestie (si può dire o è radical chic?) con una cassa che ai rave che vieta questo governo se la sognano, sparando Vasco Rossi  a tutto volume.
Nulla contro “Albachiara” (nonostante l’ora crepuscolare) ma  semplicemente non avevo nessuna voglia di subire questa musica. In quel momento avrei messo “Io se fossi Dio “ di Gaber e avrei aggiunto la strofa “fulminerei i possessori di casse in spiaggia, parchi…” esistono le cuffie. Visto che fulminarli con lo sguardo non bastava  ho chiesto gentilmente se potevano abbassare, nemmeno spengere, e sono stata aggredita. Avete notato quanto spesso l’arroganza e l’urlo vadano al pari col torto marcio?  La parte migliore è quando il suddetto Orco ha dichiarato: “A me danno fastidio quelli che leggono”. Ecco.
Forse per fargli capire la differenza  tra quello che stavo facendo io e quello che stava facendo lui avrei  dovuto prendere un microfono e iniziare a decantare il mio libro riga per riga a tutta la spiaggia, imponendo quelle pagine, i miei gusti, il mio volere. Invece mi sono arresa, ho preso baracca e asciugamani e  sono andata via. Mentre mi allontanavo un sacco di persone mi hanno detto, a posteriori, che avevo ragione, che non era possibile, che non esisteva più il silenzio, che fanno tutti come vogliono, che anche altri due si erano dovuti spostare, un altro aveva preso la tavola da surf e via. Tutti solidali e  a lamentarsi…con me. Non con l’Orco. E’ colpa anche della nostra indifferenza di fronte all’indifferenza altrui  se esiste tutta questa maleducazione. Quest’anno se mi dovesse ricapitare una scena come quella dell’anno scorso spero che ci si alzi in novanta a prendere le casse dell’Orco , a gettarle in mare e voglio vedere come sott’acqua “respiri piano per non far rumore”.

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Isula Rossa.

Bastano i piedi a contatto con la roccia,

ricordi di scoglio, di onde, di saper calibrare la spinta e venir su a Caporibollo.

Ed è nostalgia infinita, ed è Corsica, ed è tuffatoio, ed è tutta la mia vita in un’infanzia che vale più di mille Elbe.

Perché? La vita è tutta un ricordo di prima? La nostalgia dell’utero materno? Dei piedini di neonato? Di quel faro? La nostalgia della luce? Di essere atterrata qua, in questo mondo perfetto, in questa terra generosa e fertile con un genere umano così sciocco e meschino?

Nostalgia di quando non eravamo sciocchi?

Nostalgia di quando non ci avevano corrotto, turbato, sciupato?

Quei miei piedi sono stati puri. Perché questo ricordo mi sembra tutto? Perché da quando non c’è più sono così morta? Una parte di me: quella sul surf.

Continuano a morire parti di me. Come l’altro giorno a Villa Ottone… ricordi di moglie.

Cos’è rinato? Cosa sta nascendo di nuovo?

Stranita osservo una sconosciuta con cui fare amicizia. Chi sei tu che rinasci dopo il lutto di tuo padre, che inizi a occupare spazio, chi sei tu che ti affatichi tanto? Dov’è quell’arrampicatrice di scogli che non temeva di lanciarsi, di volare, di nuovo e di nuovo.

Se chiudo gli occhi sento quell’andare sotto, l’impatto, il suono dell’acqua che trapassava il mio corpo: l’impatto. E si che dormivo all’epoca, si che dormivo… dopo mille splash e quando si risale verso la superficie si è circondati da tante bolle d’aria come sospiri che ti fanno il solletico. E come dormivo allora.

Sono cresciuta così. Remando verso il sole, in mare aperto, fra le onde, nelle correnti, facendo fatica per raggiungere la meta, arrampicandomi avviluppata alla roccia rossa e lanciandomi nel vuoto.

Chi altro potevo diventare da grande?

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La consapevolezza al primo posto.

La cocaina distende i nervi.

I maschi possono partorire.

Lo stato di Israele rispetta i propri confini.

I giornalisti sono portatori sani di verità.

Al CUP ti riservano un esame entro ventiquattr’ore.

La scuola pubblica è piena di finanziamenti.

Publiacqua non spreca manco una goccia.

I treni arrivano in orario.

Al Sud si trova lavoro facilmente.

Le donne guadagnano quanto gli uomini.

L’Italia è un paese a misura di bambino.

Tinder a favore della fedeltà coniugale.

L’iper specializzazione aiuta a vedere la totalità dell’insieme.

La forbice fra ricchi e poveri diminuisce ogni giorno.

La Fi-Pi-Li scorre libera senza traffico e cantieri.

Il tumore non esiste.

Dio Si.

I peli sotto le ascelle di una donna sono molto sexy.

L’aria condizionata dona più ossigeno di una foresta.

“Andrà tutto bene”.

Le biciclette inquinano più delle Harley Davison.

I Beatles erano quattro donne.

La castità fa bene alla prostata.

Gli hamburger ripuliscono le coronarie.

L’alcool aiuta a prevenire problemi gastrointestinali.

Uno spritz al giorno toglie il medico di torno.

Le suocere sono le migliori amiche dei mariti e delle mogli.

L’Italia è una repubblica fondata sul lavoro.

Il nero ingrassa.

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La mancanza di Ironia.

Nell’ultimo spettacolo di RezzaMastrella c’è un momento in cui Antonio Rezza abbraccia la sua fidanzata in scena e dice: “Che meraviglia quando ti abbraccio, è l’unico momento in cui non ti vedo”. Risate generali tranne un paio di persone sconvolte che hanno dichiarato che era una battuta sessista e maschilista. Ho provato a chiedere spiegazioni e la dialettica retorica, benpensante e perbenista mi ha lasciato di stucco.
L’apice è stato quando ho chiesto se a parti inverse, donna che abbraccia uomo, avrebbero riso e mi hanno detto che Si, allora sarebbe stato geniale. Davvero?
Sono così stanca di questo politicamente corretto che ho ribattezzato ipocritamente scorretto. Questa finta libertà che altro non fa che categorizzare tutto e distruggere l’identità. Una persona veramente libera non ha bisogno di mille contenitori dove rinchiudersi. Ho scoperto che, mio malgrado, anch’io appartengo a una categoria: Sono una banalissima Cis, forse con lati appariscenti un po’ Queer. E ho scoperto che non mi importa niente. Non mi importa niente di sapere con chi va a letto il mio interlocutore, quali scarpe indossa o che utilizzo fa della cera delle candele. Quello che mi interessa è di poter parlare liberamente, di esprimere un’opinione e di poter ridere e contestualizzare cosa viene detto. Non esistono parole tabù. Se mi raccontano una barzelletta dove si usa il termine “frocio” è molto probabile che io rida a crepapelle. Ed altrettanto probabile che le mie amiche lesbiche riderebbero con me. La differenza sottile di ridere di un soggetto o con il soggetto. Ahimè, in questo nuovo mondo in bianco e nero, di pro e contro, di buoni e cattivi, le sfumature non vengono colte. Solo schieramenti. L’abbiamo visto in maniera spaventosa nel contesto del Covid. Lo stiamo vedendo da un anno in ogni dibattito, se così si può chiamare, sulla guerra in Ucraina. Si è del tutto persa la capacità di affrontare una conversazione: si viene bollati dopo cinque secondi, schedati, inseriti nel famoso cassetto categorizzante. Ed io ci ci provo con tutto il cuore e l’intelletto a avere un dialogo e raramente mi riesce di smascherare quanto debole sia il pensiero dominante. Non esiste un pensiero dominante se io mi rifiuto categoricamente di essere suddito. Allora a volte accade che qualcuno venga scosso quando semplicemente faccio notare quanto sia ridicolo abbracciarmi e chiacchierare con me senza mascherina e poi, all’arrivo del mio ex fidanzato non vaccinato mantenere due metri di distanza, spalancare le finestre per farci venire la polmonite in pieno inverno e sentire un senso di angoscia e pericolo indotto, che non esisteva al momento in cui c’ero solo io, che con quell’individuo in questione dormivo tutte le notti. Ma io ho tre dosi, lui no. Con me si può parlare, con lui no. E’ così e basta senza percepire quanto sia ridicolo e ingiusto. Stessa cosa adesso per la retorica del popolo invaso e dell’invasore… dobbiamo armare chi, poveraccio, ha diritto a difendersi. Esistono più e più trattati dell’Onu dove vengono distribuite le terre ai Palestinesi e mi risulta che Israele abbia invaso e non rispettato svariati accordi. Eppure i palestinesi si facciano bastare i sassolini dell’Intifada che a nessuno viene in mente che abbiano il diritto a difendersi. Anzi, quando lo fanno, massima solidarietà al governo Israeliano l’unico stato vittima e carnefice ad libitum. E poi c’è questo nuovo filone in cui per parlare di donne devi essere donna, se vuoi parlare di immigrazione devi essere immigrato, nero, partigiano… ora di partigiani, per questioni anagrafiche, a breve non rimarrà nessuno e quindi, vietato parlare della resistenza? Ma che senso ha? Ci rendiamo conto della gravità di tali assiomi? Parlando con una mia amica ventenne l’altro giorno mi è sfuggito un “Troia” rivolto a una mia ex amica… premetto che non aveva niente a che vedere con quanti uomini fosse stata a letto, ma era più in senso letterale (Iliade, Achei.. tradimento). L’avessi mai fatto! Sono stata apostrofata con termini molto violenti (però la parola con la T non si può dire..) fin quando a un certo punto ho chiesto se fra di loro i gay si possono affettuosamente chiamare Froci e mi è stato detto Si, se i neri possono usare Nigger e altrettanto andava bene… allora mi sono dichiarata Troia anch’io per poter rivendicare il diritto di esprimere il mio disappunto in termini colorati… siamo a questo. Perché grazie a Dio posseggo l’arma più devastante contro questa società: l’ironia. E quella bomba nucleare che ha il nome di auto ironia. Queste le armi della mia battaglia.

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Guerra e Guerra

Ieri mattina mi sveglio con un messaggio di una mia amica armena, l’Azerbaigian ha attaccato i loro confini ed è iniziata una guerra in Armenia dopo che hanno perso quella di due anni fa.

Non entro nel merito della questione, da quel che so due anni fa c’è stata una guerra per un territorio che si contestavano e che l’Azerbaigian ha conquistato o riconquistato a seconda dei punti di vista… adesso è proprio un invasione di terreno armeno.

Come se l’Austria domattina riprendesse il Trentino (probabilmente la popolazione altoatesina ne sarebbe lusingata ma, mi spiace dirvelo, siete une regione italiana e non si potrebbe fare).

Passo la giornata sintonizzata su radio24, ascolto vari tg, in rassegna stampa non un solo quotidiano ne parla, metto guerra in Armenia su google e trovo solo un articolo di Skytg24. 

Tradotto: se possiedi già l’ informazione riesci a avere un riscontro che ti dice che è vero, che la mia amica non si è svegliata una mattina a caso nel panico facendo uno scherzone. 

Ma se non sei armena l’informazione non ti viene data, molto  più interessante parlare del gender fluid di Peppa Pig.

Non ci sono titoloni sui giornali, bandiere della pace che sventolano, raccolte fondi da tutte le parti, manifestazioni in piazza con collegato il primo ministro armeno.

Diciamocelo: degli armeni non ce ne frega niente. Come fino a ieri eravamo a spruzzare acqua con gli idranti ai siriani nell’indifferenza generale, e non abbiamo organizzato grandi corridoi umanitari, che fra l’altro sono serviti, e servono, per far passare armi e le armi servono a uccidere la gente, non sono un simpatico diversivo. Non esistono armi buone.

Così come non esistono guerre giuste.

La guerra è terribile, anche se io non ne ho idea, sono nata nel 1988 in un paese dove non vivo ogni giorno con la paura che l’autobus che prendo possa saltare in aria, con la difficoltà di avere un permesso, di attraversare un confine, di pestare una mina, di vedere la mia casa rasa al suolo da una ruspa o da una palla da demolizione appesa a una gru.

Ci sono popoli che fanno veramente una vita di merda, in perenne conflitto e paura.

E ci sono popoli di serie A e di serie B. Scusate la banalità ma mai come con questo attacco della Russia all’Ucraina lo abbiamo visto.

Non ho nulla contro il popolo ucraino ma sono furibonda con la campagna mediatica che è venuta fuori da questa guerra e con l’ipocrisia spaventosa del mio di popolo. L’Italia e l’Europa.

Fosse per me toglierei domani ogni confine, in un mondo così interconnesso trovo assurdo che non abbiamo davvero tutti un solo passaporto con scritto “Cittadino del Mondo.”

Con uno statuto e delle regole serissime valide per tutti in ogni luogo del globo.

Cose come l’inquinamento, il furto, l’omicidio… vabbè i dieci comandamenti rivisitati con un’idea comune in cui abitiamo questo pezzo di terra e se vogliamo fare in modo che sia ancora vivibile e sostenibile dobbiamo davvero metterci tutti d’accordo per una rivoluzione totale.

Magari scriverò un articolo specifico su questo ma ora voglio solo condividere la rabbia e la tristezza di chiunque si senta inferiore a qualcun altro. 

Voglio condividere l’ingiustizia che sta provando questa mia amica a non avere nessuna solidarietà, ma ben prima della solidarietà, nessun interesse a quello che per lei è sapere i suoi genitori in pericolo, all’impossibilità di andarli a trovare, di tornare a casa.

Interesse è proprio la parola chiave, direi che ormai è evidente a tutti che la nostra grande passione per il popolo ucraino derivi da interessi personali… il gas, il grano, la forza lavoro, la percentuale di badanti che abbiamo originaria di quel paese.

Ci interessano i poveri bambini? Se si, pensa un po’, anche in Mali esistono i bambini…

Salviamo le donne o salviamo chi si prende cura dei nostri genitori/nonni?

Mi spiace parlare così, verrò additata di cinica, e sicuramente filoputiniana a prescindere. 

Anche perché l’Armenia è completamente isolata dal punto di vista politico e uno dei pochi alleati che ha è proprio la Russia, per cui figurati, il male assoluto. Che muoiano quei pochi armeni che sono rimasti… a proposito di questo vorrei ricordare il famoso genocidio degli armeni 1,5 milioni di morti fra il 1915 e il 1916,della serie Hitler non si è inventato nulla di nuovo, le deportazioni e l’olocausto eran già di moda.

Solo due anni fa hanno avuto una guerra terribile (quale guerra non lo è?) con 3825 soldati armeni uccisi e 2906 soldati azeri più civili da entrambe le parti e pensate un po’ chi ha mediato per un cessate il fuoco? Vladimiro.

Ora da quel che ho capito gli Azeri dopo aver riconquistato quel pezzo di terra si stanno espandendo a prendere territori Armeni. 

Vi ricorda niente? Invado la Crimea? E poi mi espando e invado un territorio sovrano?

Quale paese non è sovrano? Quale popolo non è sovrano?

Davvero ci interessa solo dei nostri vicini di casa? La famosa frase che tanto viene usata per questa guerra in Ucraina… “la guerra nel cuore dell’Europa.”

Ma la guerra in Bosnia se la ricorda nessuno? Io si. Si perché ero nata e ricordo mia madre che diceva perennemente “Basta con la guerra in Bosnia.”

Non so perché nel 2020 si continuino a fare le guerre, si continui a investire in guerra, a creare la guerra, giusto ieri l’altro l’Italia ha fatto passare il programma di riarmo: 6 miliardi a carri armati e missili.

Forse quello di cui non ci rendiamo conto è che siamo in guerra anche noi.

Siamo in guerra contro il mondo, lo abbiamo devastato, siamo in guerra contro lo Stato, la sfiducia di tutti quelli che non andranno a votare perché tanto fa tutto schifo (e come darvi torto!!!) la guerra è linguaggio: sono più di due anni che usiamo un linguaggio di guerra.

Parole come coprifuoco o razionamento adesso ci sembrano normali.

Siamo in guerra contro il tumore: “sconfiggere il cancro.” 

Arriviamo da una guerra civile organizzata a tavolino VAX/NO VAX che ha fatto separare coppie, licenziare persone, genitori che non parlano ai figli, fratelli, amici, che chissà se faranno mai più la pace. Ma veramente ci è sembrato normale perdere il lavoro per un vaccino? Veramente ci sembra normale odiare così tanto? Odiamo il sistema, l’immigrato (tranne quello ucraino come abbiamo detto perché ora è la gran moda), odiamo il diverso, odiamo il traffico di cui facciamo parte, le buche, le tasse, l’immondizia che creaimo noi, mi viene il dubbio che in realtà odiamo noi stessi… siamo abituati all’odio, alla violenza, e la verità e che anche questa bolla di grande solidarietà al popolo ucraino (ripenso a una manifestazione per i Curdi in cui eravamo in 18 a esagerare), con l’estate si è sgonfiata perché è caduto il governo, perché c’è qualcosa che mi riguarda ancora più da vicino, ora se ne parla solo in merito alle nostre bollette di gas e luce.

Se domani venisse fuori che l’aumento di qualche prezzo per cui io sto tirando fuori il portafoglio c’entrasse qualcosa con l’Azerbaigian vedrai come sarebbe famoso e non solo un nome strano come il Kamchatka che ci si domanda se esista davvero o sia solo un termine per appassionati di Risiko.

Come sempre divago, mi perdo, mi rattristo, mi indigno, mi arrabbio e mi consolo con la penna. Scrivo per stare meglio, scrivo per dire che mi dispiace che nessuno parli di tutte le valanghe di conflitti che ci sono adesso nel mondo, scrivo perché vorrei che la pace fosse al primo posto fra le vere conquiste. Senza cadere nella trappola di far guerra a chi vuole la guerra. Nessuna guerra, mai, a nessun costo. Portiamo la pace, chiediamo scusa, facciamo “accidenti al diavoletto che ci ha fatto litigare” con i mignolini, e non è un pippone cattolico alla porgi l’atra guancia ma un puro egoistico “voglio stare in pace”.

Voglio che i miei amici, che da qui all’altra parte del mondo le persone siano nella pace, voglio che le decisioni vengano prese col cuore in pace e non vivere perennemente in reazione, voglio scelte dettate da un clima di pace, voglio armonia, voglio una visione comune che adesso altro non può essere che una visione ambientalista.

Caro mondo, se invece di continuare a fare la guerra vi rendeste conto che fra poco le bombe ce le tirerà addosso la Terra potreste fare tutti una grande alleanza contro il nostro delirio di onnipotenza e cercare di far pace con la prima SUPERPOTENZA che esiste: Madre Terra.

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Un qualcosa su i bambini

Premetto che non sono madre per cui sarò subito criticabile al grido di “cosa ne vuoi sapere te?”

Ma condivido uno scritto che ho letto di recente in cui si ironizzava che non si dev’essere obesi per parlare di obesità, transessuali per parlare dei diritti gender, ebrei per parlare dell’olocausto ecc… o, se credete che così vada fatto, sarebbe un mondo molto silenzioso. Non esisterebbe la televisione, andrebbe spenta la radio perché anche le canzoni parlano di cose non sperimentate tutte in prima persona, non leggeremmo più libri, non guarderemo più film o piéce teatrali… l’arte è opinione. Dibattito. La poesia è osservazione del mondo. Analisi, intuizione, percezione.

Quindi, con sguardo da pura osservatrice, vi racconto un fatto:

da quando sono bambina vengo in montagna sulle Dolomiti (che bimba fortunata!) e ricordo con viva partecipazione le scarpinate sul Monte Pana nel fare questo gioco dove devi salire in cima a una collinetta trascinandoti una specie di pneumatico gonfio, di ciambella, e arrivato in cima, c’è questa pista in discesa dove vai velocissimo dentro questa ruota fino a giù. Per poi, con la tipica energia ossessiva da bimbi, riparti in salita e via ancora a scendere in due secondi e a risalire in due o tre minuti, a seconda di quanto sei piccolo, di quanto le tue gambette corte riescono a fare passettini più o meno lunghi.

Quest’anno sono in questa baita dove ero solita giocare venticinque anni fa almeno e vedo una fila di bambini immobili. 

Non sono più i bambini a trascinare su il loro gioco ma sono i bambini che vengono trascinati come pupazzi da un tapis roulant brevissimo e, a mio parere, del tutto inutile.

Anzi, inutile è qualcosa che non serve ma non danneggia. Inutile non è la parola giusta. 

La parola la lascio trovare a voi.

A me quest’immagine di bambini viziati mi ha rattristato profondamente. Ho pensato, in uno dei miei momenti di profonda drammaturgia: che fine faremo?

Ma dove siamo arrivati e perché? Che adulti saranno questi bambini che stiamo formando così pigri? A cui abbiamo tolto la capacità di conquistarsi qualcosa?

Un tempo si faceva fatica, si faceva la salita, ci insegnavano (perlomeno a me l’hanno insegnato moltissimo) a fare fatica, a doversi meritare qualcosa, a non essere sempre al centro dell’attenzione, a non venire ascoltata perché “stanno parlando i grandi”, mi hanno insegnato a aspettare il mio turno, che esistono gli altri, ho imparato a annoiarmi e non mi sono annoiata un solo istante in tutta la mia vita. 

Non avevo un cellulare o un i pad perennemente di fronte agli occhi, in questa passività sconfortante, dovevo stare alle cene in silenzio, adattarmi ai ritmi dei grandi, ai bisogni degli adulti oltre che ai miei, e in quello spazio ho imparato a osservare, a ascoltare, a stare al mio posto.

La fantasia, l’immaginazione, l’inventiva sorgono da spazi vuoti.

Adesso mi sembra che ci sia il terrore dello spazio vuoto, si riempie tutto costantemente, con questi bambini iper stimolati, sempre al centro del mondo.

A novembre raggiungeremo gli otto miliardi di persone: come faremo a andare tutti d’accordo, ognuno nelle sue diversità e complessità, se siamo stati così viziati? Se pensiamo che i miei bisogni vadano esauditi prima di subito ventiquattr’ore su ventiquattro?

Quanti No sentono i bambini adesso?

Il mio primo psicologo che ha scritto: “I Si che aiutano a crescere” mi direbbe che è col Si che un bambino cresce con la base sicura, forte e felice e che una persona felice fa star bene anche le persone attorno e si crea un clima di convivenza pacifico e produttivo.

Ma so che capirà, sperando di riuscire a spiegarlo bene, affinché lo capiate anche voi, cosa intendo.

Proprio sulla felicità ho le mie grandi perplessità.

Sono più felici i bambini di oggi o solo più viziati?

Vedendo le facce spente dei bambini fermi sul loro pezzettino di facilitatore di salite, mi persuado che sia più la seconda.

Io ero felice a scarpinare su col mio obiettivo in testa, faticavo si, come quando dovevo far scaletta con gli sci ( e a nessuno è venuto in mente di portarmeli o addirittura prendermi in collo) e mi godevo la discesa con una soddisfazione tutta mia che nessuno mi potrà togliere.

Forse rispetto a come sono cresciuta io (che non ho novant’anni ma vengo da una famiglia diciamo all’antica su un certo tipo di educazione) e come vengono su i bambini di oggi esiste una via di mezzo.

Perché io ho dovuto imparare da grande e lavorandoci parecchio su, che posso essere amata a prescindere e non perché sono brava in questo o quest’altro, che non è tutta una sfida, e che si può scegliere di non fare sempre fatica ma anche godersela un bel po’.

Però so per certo che non ho mai fatto un capriccio in vita mia perché non volevo mangiare, nessuno mi ha mai rincorsa dicendo “pappa”. 

Mangia.

Non mangi? Peggio per te, lo mangio io e tu mangerai quando hai fame e ne avrai di nuovo la possibilità. E non esiste che se non mangi a tavola,  pranzo o cena, poi hai diritto al dolcino, alla merendina o alla cazzatella.

Insomma non è un favore che mi fai a mangiare ma un favore che fai a te stesso.

Mi hanno sempre colpito molto le madri che supplicano o minacciano i bambini per mangiare e mi chiedo che razza di traumi avranno da grandi.

Poi, ogni generazione, ogni figlio ha i suoi traumi e le sue recriminazioni genitoriali.

Ma se fosse per me vieterei i cellulari a tavola, la televisione ininterrotta, zittirei spesso i bambini e gli insegnerei a parlare sotto voce, a non disturbare gli altri.

All’Elba hanno vietato i cani in spiaggia dalle nove alle sette di sera, abbaiano? 

E i bambini che piangono? Sporcano i cani? Si, ma sono i padroni a non pulire, come sono i genitori a lasciare il succhino per terra.

Preciso che non vieterei i bambini in spiaggia, son mica Erode, però non capisco perché vietare i cani… vieterei la musica sparata a tutto volume, questo si! Che è una violenza e mi danneggia mentre vorrei ascoltare il silenzio, e il suono del mare.

Non vieterei i famosi palloni nelle piazze, tutt’altro, facciamoli giocare questi bambini, a più non posso, fra loro, facciamoli sporcare, facciamoli socializzare, facciamoli conoscere, facciamoli vivere. Altro che decoro, i bimbi in piazza, i bimbi del popolo, cresciuti dai nonni, dagli zii, dai vicini di casa e non in questo isolamento genitori e baby sitter. Ma questa non è una colpa dei familiari ma di una società che tende a questo, a chiudere, a renderci più soli con la falsa percezione di non esserlo per i famosi novemila amici virtuali.

Vieterei il virtuale ai bambini.

Prima impara a conoscere il mondo, la vita reale, poi, quando hai li tuo bel cervello formato e pronto a discernere la realtà dal mondo digitale possiamo anche affrontare uno schermo.

E poi gli insegnerei la noia. L’importanza della noia.

E penso che la sera se vai avanti e indietro come un matto su e giù per la collinetta del monte Pana dormi sogni dorati senza battere ciglio.

In realtà io amo i bambini, vorrei vederli felici e li guardo pensando che sono il futuro.

Per questo mi deprimo quando li vedo così despoti, così stanchi, insoddisfatti, aggressivi, capricciosi, arrabbiati e perennemente in lotta con qualcosa. E mi domando cosa possiamo fare per loro?

Forse, lo so che è impegnativo, ma andrebbero educati.

Richiede tempo, molte energie, una pazienza infinita ma è un assicurazione per il futuro. 

Ed io vorrei vedere un domani che cammina fiero, magari inciampando o sbagliando strada, piuttosto che un domani che non permette deviazioni, un domani che si trascina su un tapis roulant.

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EMPATIA

Sono colei che ha preso le botte perché troppo amata, sono colei che si sente insicura perché troppo magra, troppo grassa, hai visto il mio naso?! Non ho sedere, ho il culone, sono bassa, sono troppo alta e metto in soggezione… sono colei che si sente troppo.

Sono colei che si fa i peli prima di uscire, sono colei che si depila due volte l’anno ed è festa grande, sono colei che se ne frega del giudizio degli altri, sono colei che presta attenzione, colei che torna a casa e ripensa alle parole che ha detto, colei che prima di dirle non ci pensa manco un secondo.

Sono colei che non si trucca mai, sono colei che non esce di casa senza mascara, rossetto, quel filo di cipria, la matita blu.

Sono colei alla quale hanno spezzato il cuore, sono la stronza che te l’ha mandato in frantumi.

Sono dall’altra parte, nei racconti degli altri.

Sono maschio e femmina. Sono quello stesso tuo pensiero, quell’identico entusiasmo, la medesima paura.

Sono nelle cose che non hanno sesso, in questo ripetersi incessante di schemi e storie.

Sono il tuo passato, sono già stata il tuo futuro.

Sono in questa narrazione continua, sono nel flusso infinito.

Archetipi, ruoli, personaggi, racconti, trame e intrighi.

Privata di ogni esclusiva soffro come te, gioisco come te, mi preparo come te, ho rimpianti come te, sorrido come te, alzo quella canzone, mi commuovo su quel fotogramma.

Sono colei che ascolta tutto il giorno le persone, sono colei che parla con i muri.

Sono colei che è convinta che i bambini vedano l’aura e ridano per questo.

Sono colei che adora gli anziani e trova tempo da dedicargli.

Sono colei che non si tira indietro, che non giudica a priori, che non ti chiede per chi voti ma cosa ne pensi.

Sono colei che ha pazienza e una fretta micidiale. Colei che è grata della vita e terribilmente arrabbiata.

Sono colei che osserva tutto, che accoglie tutto, che sta nel mondo.

Sono colei che sa che è già successo, che non siamo i primi, che accadrà di nuovo.

Sono colei che enfatizza e colei che ridimensiona.

Sono in pace e in tumulto.

Sono alla ricerca di tutto quello che ho già trovato.

Sono colei che ha capito molte cose, che non si addormenta perché non trova risposte.

Sono colei che sa che siamo soli, inutilmente sempre noi, e che non è mai mai mai mai mai da sola.

Sono la mia migliore compagnia, sono la mia moltitudine vittoriosa, la mia sfida preferita, la mia voglia di cambiare, la mia capacità di restare.

Sono colei che non può fare a meno di scrivere, sono colei che non bastano le parole, sono colei che ha scelto il silenzio.

Siamo coloro che ci fanno ribrezzo, coloro che ci attraggono, coloro che ci ripudiano, coloro che ci seguono. Siamo in ogni sguardo fatto bene, in ogni momento in cui si tace, quando riusciamo a toccarci dentro.

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